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A R T I C L E S

Giordania il mosaico della Terra Santa

Cultura e Spettacoli- Agosto 14, 1997
Di Marco Garzonio

La scoperta avvenne per caso. Ma presto gli studiosisi resero conto di quanto fosse importante il ritrovamento delia “Carta di Madaba”. Oggi che viene celebrato il secolo del recupero, quel multicolore pavimento in mosaico si mostra certo in tutto il suo fascino, ma si rivela, insieme, quale perno del vasto mondo di preziose testimonianze che al primo ritrovamento son seguite, e preannuncia sorprese, se gli scavi continueranno con solerzia e se verrà impedita una sciagurata speculazione edilizia.

Fu una comunità d’un centinaio di famiglie a imprimere la svolta nella storia di questo lembo di Giordania, pochi chilometri a Sud di Amman, sulla famosa e antica “Vie dei Re” poi Via Nova Traiana, che consentiva commerci fiorenti tra Aqaba, sul Mar Rosso, sino a Damasco e il Nord. Quelle tribù arabe, ma di religione cristiana, nel 1880 si trasferirono da Karak nella fertile piana Madada. Qui, costruendo una chiesa di un edificio bizantino, venne alla luce il mosaico, nel quale era raffigurata la Palestina. La “Carta”, testimonianza geografica unica e “in originale” (di mappe del l’antichità esistono per lo più copie medievali), descrive il Medio Oriente, così come era allora conosciuto (siamo dopo il 542): dal Libano, di Tiro e Sidone, al Nilo; dal Mediterraneo al deserto dell’Est.

È un antico, stupefacente Baedeker, che guidava i visitatori sulle tracce dei Padri: a seguire peregrinazioni e avventure dei progenitori, ventuti dall’Egitto, passati per la biblica terra di Moab, prima di affacciarsi sul Nebo e di lì contemplare la Terra Promessa; e poi a ritrovare le tracce dei protagonisti di quel ramoche dall’antica pianta patriarcale germogliò, i cristiani, che presoro a spargersi per la Palestina e di qui nei Paesi vicini e nel mondo. Per ciasuna delle150 località rimaste indicate nella “Carta” (parte del mosaico è andato distrutto) sono raffigurate in miniatura le piante delle città più importanti, a cominciare da Gerusalemme, l’Agia Polis, La Citta Santa, posta al centro del mosaico. Nelle sue linee essenziali è identica a oggi: dal Santo Sepolcro alla Chiesa di San t’Anna. A segnare i centri minori, piccoli agglomerati di case. Sino alla semplice porta con due torri per le località piccole o a una mini-chiesa stilizzata per i santuari. E poi, tra corsi d’acqua, mari e montagne, ecco simboli multicolori a riassumere le caratteristiche dei luoghu: le palme, raffigurazione dell oasi di Gerico; i cespugli, segno di fertilità lungo i fiumi, le cui rive son collegate da caratteristici traghetti pensili, che secoli dopo avrebbero fatto la gioia di un Leonardo; i pesci, che seguono la corrente del Giordano, ma che la risalgono immediatamente, non appena giungono nei pressi delle invisibili acque del Mar Moto.

Vite e generazzioni di studiosi sono state spese per riportare alla luce un mondo di cultura, di arte di umanità, di vissuto religioso, di cui la presenza di un’opera come la “Carta” era il primo, significativo segno. Ma che non fosse l’unico gli archeologi lo immaginavano. E han lavorato per dimostrarlo. In effetti, le celbrazioni centenarie oggi costituiscono un bilancio esaltante dell’opera di che ha continuato a scavare dopo quel 1897, e delineano, insieme, prospettive di ricerca per molti versi tutte da esplorare. Oggi Madaba, con la sua quindicina di siti riportati alla luce, è un fiorire di mosaici, tanto da farla ribattezzare la “Ravenna di Giordania”. Indicazione di futuro è la “Madaba Mosaic School”, un progetto di cooperazione italo-giordana per preparare i giovani del luogo a praticare l’antica arte dei padri e specializzarsi nel restauro. I primi diplomati hannogià richieste da altri Paesi del Mediterraneo, come Tunisia e Libano.

Il mosaico, con le sue tessere multicolori, che da sole sono solanto frammenti, mentre, sapientemente unite e ordinate, assumono forme, colori, immagini, vita, il mosaico, appunto, è la metafora vivente di una possibilità di collaborazione feconda tra genti, fedi, tradizioni diverse. E Madaba, nella festosità dei suoi colori e delle sue raffigurazioni, viene a costituire il luogo di un progetto ambizioso per salvare sì i mosaici, ma,con essi, l’incontro e il dialogo tra culture. In effetti, gli ultimissimi, decenni di ricerche hanno confermato che la città di Madaba, già importante in sá in realtà reappresenta il centro di una zona ben più vasta, formata da numerose aree e siti, che a ogni campagna di scavo rivelano sorprendenti segreti. La dovizia e la varietà dei ritrovamenti hanno convinto gli studiosi della necesità di istituire almeno tre parchi archeologici a salvaguardia dei beni sinora ritrovati e a incremento delle indagini future. I propositi, che hanno trovato eco alla facoltà di Architettura di Milano, presso il corso di disegno industriale e di progettazione ambientale diretto dal professor Ubertazzi, si muovono secondo le più aggiornate e corrette metodologie, che prevedono la valorizzazione in loco dei monumenti.

Il progetto del primo di tali parchi prevede che la zona di tutela si sviluppi lungo la strada romana, da cui è attraversata Madaba. Il secondo comprende una zona a una trentina di chilometri a Sud-Est della città, Umm al-Rasas, che, in una decina di scavi, ha stupito studiosi do tutto il mondo. L’esplorazione archeologica ha portato all’identificazione della località di Kastron Mefaa e alla scoperta di splendidi pavimenti musivi realizzati tra il VI e il VII secolo. Date fondamentali, queste: peché segnano la continuazione dell’opera dei Maestri di Madaba, ma soprattutto, sfatano luoghi comuni e pregiudizi: dimostrano, cioè, che per almeno due secoli le comunità cristiane e quelle musulmane sono riuscite a convivere bene, modo pacifico. Terzo parco archeologico, quello del Monte Nebo, a uno manciata di chilometri da Madaba. Anche su questo balcone, a 800 metri d’altitudine, proteso verso la Terra Promessa, da cui oggi si ammira la valle del Giordano, l’oasi di Gerico e, nelle giornate limpide, Gerusalemme, i ritrovamenti di mosaici hanno avuto del sensazionale; qui sono emerse le testimonianze storiche che confermano come i primi cristiani venerarono il “Memoriale di Mosè” il luogo dove la tradizione vuole che il profeta sia stato sepolto.

Grandi progetti possono però significare anche grandi e insidiosi avversari. Questi cercano, con ogni mezzo, di constrastare lo sviluppo delle ricerche o, addirittura, di compromettere risultati acquisiti. Il risvolto dell’eterna lotta tra bene e male, tra generosità e interesse, tra amore dell’arte e sfruttamento egoistico delle risorse va in scena attorna a Madaba. L’antica città è paradigma anche in questo scontro tra le possibilità di collaborazione tra culture e fedi diverse, per la tutela di un patrimonio comune, e il dio denaro. Soltano che in quest’angolo di Medio Oriente Indiana Jones ha vestito il saio francescano. Michele Piccirillo, 52 anni, un sanguigno frate-archeologo della provincia di Caserta, laureato al Pontificio istituto biblico e addottorato alla Sapienza di Roma, professore di geografia biblica presso lo “Stadium biblicum franciscanum” di Gerusalemme, si sta battendo per la costituzione dei tre parchi, soprattutto di quello del Monte Nebo. Studia e scava, ma nello stesso tempo lotta contro un mega-progetto di speculazione edilizia, che snaturerebbe un’oasi naturale unica sopra il Mar Morto. Padre Piccirillo corre dall’Europa agli Stati Uniti, dalle diverse ambasciate agli organismi internazioni, Unesco in testa; coinvolge il governo giordano dove ha udienza diretta presso la corte (insieme a sua altezza reale il principe Ghazi Bin Muhammad, nipote di Hussein e advisor del reashemìte per glì Affarì religiosi, ha realizzato un volume sui santuari islamìta e cristiani in Giordania); promuove incontri su Madaba nelle capitali cui la “Carta” si riferisce: Amman, Il Cairo, Gerusalemme. Soprattutto: mobilita schiere di giovani intorno alla sua battaglia. Il 1st agosto è partita l’annuale campagna di scavi: in un mese e mezzo, una trentina di specializzandi in archeologia o in discipline a questa collegate, provenienti dai più diversi Paesi, lavorano come volontari a Umm Al-Rasas e al Nebo: dalle 6 alle 14 sul cantiere; poi, fino a sera, a catalogare il materiale. Un’esperienza di anni.

Un “avventura storica, archeologia, spirituale”: cosi Gianfranco Ravasi ha chiamato la ricerca attorno a Madaba. L’insigne biblista non ha estitato a definire “stupenda” l’opera su Madaba condotta da padre Piccirillo. L’energia, indubbia, di un uomo: l’intuito, la fortuna, la schiacciante voglia di arrivare al risultato, Ma la forza viene anche dal fatto che questo Indiana Jones non è solo. Si muove tra lerovine del Nebo e di Madaba sulle tracce della tradizione archeologica francescana di Gerusalemme, fatta dai vari Silvestro Saller, Bellarmino Bagatti, Virgilio Corbo.

I francescani, si sa, sono “Custodi di Terra Santi” dal ‘300: graditi ai musulmani, perché il Fraticello di Assisi venne qui con l’unica arma della sua parola e della radicale povertà evangelica: l’altra faccia, insomma, rispetto al cristianesimo delle Crociate.

Dice un’iscrizione di Madaba: “Signore, ricordati dei mosaicisti di cui sai I nomi”. Anche questo è uno dei segreti dei mosaici: che le persone siano glorificate in Cielo e magari non riconosciute in Terra.

È il fascino delle battaglie e del lavoro comune, tra genti diverse come tessere multicolori, che, unite, però, generano nuove forme di raffigurazione e di vita. Uno dei sensi possibili dell’esistenza.

 

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